27 luglio 2018

Intervista a Enzo Mazza

I diritti connessi rappresentano una voce sempre più importante degli introiti delle etichette discografiche: Enzo Mazza, presidente di SCF, spiega il cambiamento di un settore in evoluzione.

 

I ricavi da diritti connessi negli ultimi anni hanno conquistato posizioni nella torta delle revenue, grazie alla sempre maggiore diffusione della musica in negozi, palestre e supermercati e alla capacità delle collecting societies di drenare risorse.

SCF (Società Consortile Fonografici) è la numero uno in Italia e nel 2017 ha potuto distribuire alle etichette associate più di 50 milioni di euro. A guidarla è Enzo Mazza, l’amministratore delegato di Fimi: “dai diritti connessi dipende una percentuale rilevante dei ricavi delle case discografiche”, spiega.

Qual è il vostro lavoro?

SCF può contare su una library di 20 milioni di brani e rappresenta in Italia più di 400 produttori musicali. Il suo compito è tutelare i diritti connessi, quelli industriali che affiancano il diritto d’autore.

Gestiamo i diritti dele case discografiche. Tuteliamo major ed etichette indipendenti per quanto riguarda la musica registrata trasmessa, ad esempio, da radio e TV, negozi, punti vendita o palestre e così via. Il contenuto musicale viene utilizzato per intrattenere il pubblico e, SCF raccoglie i diritti che poi vengono ridistribuiti alle case discografiche.

Non poco: nel 2017 sono stati ripartiti 50 milioni di euro

SCF è la principale società di gestione collettiva dei diritti connessi attiva in Italia. Ed è la decima società di gestione collettiva a livello globale. In Italia, abbiamo ripartito l’anno scorso 50 milioni di euro: è una percentuale rilevante dei diritti incassati dalle case discografiche in generale. E per alcune etichette il diritto connesso rappresenta quasi il 30% dei ricavi.

Nota un cambiamento rispetto al passato?

Un tempo questo settore non cresceva come ora perché adesso si consuma sempre più musica. Una volta il diritto connesso era rappresentato di fatto solo dalle utilizzazioni radio-tv: oggi l’intrattenimento in negozi, supermercati o sale d’attesa è cresciuto tantissimo. Ci sono società che curano le playlist ad hoc per ciascuna realtà, ad esempio per invogliare gli acquisti.

Questo ha spinto nuove case discografiche verso di voi?

Il numero di produttori iscritti a SCF è cresciuto costantemente proprio perché le etichette sanno di poter generare dai diritti connessi ricavi sempre più importanti. Si iscrivono per ottenere i pagamenti di questi diritti per musica che viene suonata praticamente ovunque.

Come cambierà il mercato dei diritti connessi nei prossimi anni?

L’evoluzione avverrà in diverse grandi aree. Sicuramente grandi cambiamenti ci saranno grazie alla tecnologia. Ci sono sempre più realtà che forniscono contenuti e l’utilizzo di musica è sempre più mirato. Tutto è iper-personalizzato e i produttori spingono società come la nostra ad avere una ripartizione sempre più analitica.

Le etichette puntano a conoscere tutto in tempo reale?

I produttori potranno presto arrivare a sapere esattamente quando è stata suonata la propria musica e quanti ricavi ha generato.

Una grande mano potrà arrivare anche dalla tecnologia blockchain?

Sulla gestione dei diritti influirà tantissimo. Avrà un forte impatto perché il sistema, se adottato da tutti, permetterà a un contenuto di portare con sé tutte le sue informazioni. E quando ci saranno dei cambiamenti in automatico i metadati del singolo brano cambieranno. Tutto avverrà in tempo reale, senza interventi umani. Questo permetterà di accelerare tutti i processi.

I diritti vanno distribuiti il più possibile agli aventi diritto e nei tempi più veloci. Le case discografiche si aspettano da noi che i loro diritti vengano amministrati e ridistribuiti quando generano incasso.

Cosa vorrebbe davvero cambiare sulla questione dei diritti connessi?

Ci sono ancora molte difficoltà tradizionali: nonostante adesso si riesca a raccogliere una parte importante di diritti, in Italia persiste un’evasione molto consistente. Una parte del Paese non paga: esistono realtà molto importanti che non riconoscono questi diritti. E magari anche del nostro settore.

Cosa potrebbe incentivare la raccolta?

La semplificazione, rendere più semplice il pagamento dei diritti. Un primo passo importante è stato creare un primo one stop shop con Siae. Il modello da seguire è il portale unitario su cui il cliente non deve fare altro che collegarsi, dichiarare che musica usa e pagare. Bisogna semplificare tutto il processo.

Esistono buone prassi da seguire?

L’esempio più eclatante di quanto si stia cercando di andare incontro agli utilizzatori è in Inghilterra: la società di diritto d’autore, PRS, e la società di diritti connessi, PPL, hanno creato una joint venture con una tariffa unica per riscuotere i diritti. Non c’è nessuna distinzione per raggiungere il mercato con un’offerta evoluta, semplice.

Com’è il vostro rapporto con la politica?

Il governo Gentiloni sul fronte musicale ha fatto degli interventi molto importanti. Basti pensare al bonus cultura per i 18enni: parliamo di 12 milioni di euro di musica comprata dai ragazzi in pochi mesi. Una cifra imponente sul mercato italiano: il 10% del mercato è stato venduto con la app da 500 euro. Anche su altri aspetti è stato fatto un buon lavoro, come sul tax credit e meccanismi di gestione collettiva. Non ultimo c’è la revisione delle tariffe per la copia privata che sono state ritoccate al rialzo.

Adesso al Mibact c’è Alberto Bonisoli.

Ci auguriamo che il nuovo esecutivo prosegua su questa linea. Bonisoli ha detto che la musica è una parte importante del patrimonio culturale italiano, anche quella popolare.

Cos’è la proprietà intellettuale?

È un elemento fondante per la musica: gli investimenti che vengono fati dalle imprese per generare le opere sono molto consistenti. Questo è un settore ad altissimo rischio e l’unico modo per giustificare questi investimenti è che ci siano dei ritorni economici. Ma non c’è solo la vendita dei dischi: come vediamo esistono anche i ricavi da utilizzazione secondaria.

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