Web radio nate e gestite senza rispettare la legge sul diritto d'autore, trasmesse poi tramite app sui telefoni cellulari. O diffuse dalle casse audio dei negozi.
Emittenti virtuali che operano al riparo dal fisco, capaci di fare incassare cifre importanti a chi le ha create partendo appena da "un computer, una scheda audio, qualche centinaio di file Mp3, un software gratuito, un microfono e una cuffietta".
È lo scenario che emerge dall'inchiesta del nucleo tributario della Guardia di finanza di Venezia, che ha portato all'apertura di fascicoli d'inchiesta in varie procure d'Italia. A Milano, l'informativa veneziana è finita sul tavolo della pm Maura Ripamonti.
Ipotesi di reato: violazione della legge 633 del 1941, in particolare per quanto riguarda le "disposizioni sui diritti connessi all'esercizio del diritto di autore" e i "diritti del produttore di fonogrammi".
Punto di partenza dell'indagine: il sito web myradiostore.it, portale dell'azienda Planet Media srl, che offre un tappeto sonoro (con la possibilità di aggiungere messaggi pubblicitari) a "oltre 300 importanti aziende italiane". In pratica la società genera radio online, con palinsesti tagliati sui gusti di nicchie di ascoltatori o sulle necessità della ditta cliente. In questo secondo caso, il servizio non è rivolto al generico utente, ma a società che - pagando - decidono di diffondere musica nei propri punti vendita.
L'indagine della Finanza veneziana, coordinata dal tenente colonnello Ivan Toluzzo, è giunta anche a Milano perché fra città e provincia sono presenti società clienti di Planet Media e la sede di SCF Srl. L'ente, nato nel 1999, gestisce per statuto "in Italia la raccolta e la distribuzione dei compensi, dovuti ad artisti e produttori discografici ". E gestisce i diritti per l'utilizzo in pubblico di "oltre 20 milioni di brani", affiancando la Siae, che per statuto "assicura ad autori ed editori la remunerazione da lavoro".
Secondo la ricostruzione della Finanza risulta che, almeno a partire dal 2015, "tutte le società /clienti della Planet Media Srl, dalle comunicazioni Siae di Roma e dalla Scf. di Milano, risultano prive delle licenze/autorizzazioni" a trasmettere musica in pubblico. E in nessun momento della vita dei file musicali - dal salvataggio su computer fino alla diffusione via web o nei negozi - ci sarebbe stata "autorizzazione del legittimo proprietario (nel caso la Società consortile fonografici di Milano) quale titolare dei diritti connessi".
L'informativa cita sentenze della Cassazione successive al 2000 sul tema della gestione del diritto d'autore nell'era di Internet. L'inchiesta, ancora nelle sue fasi iniziali, potrebbe chiarire nelle aule di giustizia quali siano i confini della tutela della proprietà intellettuale nel web più evoluto: app per smartphone, canali streaming e social network. Un tema più volte sollevato dalla Siae.
Fonte: Repubblica.it